L’informavirus si diffonde di bocca in bocca e segna in modo perpetuo l’organismo che attraversa, lasciando un suo piccolo pezzetto di “conoscenza”, inserito nel DNA.
L’informavirus
Per convincere un’intera popolazione a cambiare le proprie abitudini basta diffondere informazioni, meglio se prive di paternità, dai contorni sfumati, ma con un messaggio ben chiaro da trasmettere: ciò che da sempre definisco "informavirus".
L’informavirus si diffonde di bocca in bocca e segna in modo perpetuo l’organismo che attraversa, lasciando un suo piccolo pezzetto di “conoscenza”, inserito nel DNA. Non uccide l’ospite, soltanto lo condiziona per quella piccola parte che interessa. E si riproduce, si diffonde a tal punto che ogni individuo che lo possiede finisce per riconoscersi nell’altro, creando un senso di appartenenza e di gruppo che, in tempi socialmente poveri come i nostri, diventa un valore.
Su cosa si basa questo valore? Sul nulla. L’informavirus ha un’origine definita, anche se non ci è dato conoscerla, ma acquisisce forza e potenza mano a mano che contagia; la sua forza non sta nell’importanza del messaggio, quanto nel numero di persone che sono in grado di riconoscervisi.
Allora, con estrema leggerezza potremo affermare, senza tema di smentita, che “mangiare i carboidrati dopo le cinque del pomeriggio fa ingrassare”, che “la carne rossa è cancerogena” o che addirittura “l’aloe cura il cancro”.
Decine e decine di informavirus creano opinione, l’opinione crea necessità, la necessità richiesta, la richiesta, infine,mercato. L’offerta è ormai subordinata alla richiesta. In tempi passati un imprenditore aveva un’idea, investiva e produceva, per poi proporre al mercato. Se l’idea era buona e aveva riscontro, l’imprenditore aveva successo e guadagnava; in caso contrario falliva miseramente. Queste erano le regole del mercato.
Oggi, l’informavirus viene creato e inoculato in modo tale che sia il mercato stesso ad avere bisogno di un prodotto ancor prima che questo venga realizzato, determinandone il sicuro successo.
Quindi, se le cose stanno così, siamo tutti d’accordo che mangiare i carboidrati dopo le cinque del pomeriggio è sconveniente: dunque quando sarà il caso di consumarli? A pranzo, ovviamente.
Il gioco è fatto, la dieta deve essere dissociata, ossia con carboidrati e proteine divisi. Ho scritto il mio primo libro a questo proposito, nel lontano 1990, quando già sapevamo quanto fosse sbilanciata, ma allora era la moda del momento. Nonostante nel testo io chiarissi la mia opposizione a tale metodo, si optò per mettere in maggiore evidenza in copertina la definizione “diete dissociate” poiché l’intento, ovviamente non mio, era quello di cavalcare l’onda.
A poco a poco, la dieta dissociata da azione alternativa è diventata moda, e da moda abitudine. Questo comportamento generalizzato, indotto ma non imposto, ha cambiato di fatto le consuetudini degli italiani.
Ma chi dovrebbe controllare tutto questo cosa fa? Ovviamente nulla, perché di fatto è complice della situazione.
La ristorazione collettiva è legata a doppio filo alle necessità di uno Stato che, ben prima che la cura dei cittadini, vede le necessità di bilancio. Per questo si eleva a regola per il benessere collettivo ciò che deve far tornare i conti.
L’informazione in campo nutrizionale non è completamente fasulla, in parte ci sono certamente verità, ma ciò non è un vantaggio, anzi peggiora la situazione perché queste verità finiscono per accreditare ulteriormente gli informavirus che a loro si associano.